L'isola dei femminielli by Aldo Simeone

L'isola dei femminielli by Aldo Simeone

autore:Aldo Simeone [Simeone, Aldo]
La lingua: ita
Format: epub
editore: Fazi Editore
pubblicato: 2024-05-13T13:03:38+00:00


Non imbrattare i muri o altrimenti guastare

i mobili, il vestiario e gli altri oggetti forniti

dall’Amministrazione (art. 16)

L’occasione arrivò qualche giorno dopo, e come al solito non giunse da sola. L’accompagnavano il postale e i questurini per l’appello dell’una. I quali, però, non si accontentarono di declamare i nomi dei confinati, consegnar loro la corrispondenza e apporre scarabocchi sul registro. Dopo che l’ebbero chiuso con uno schiocco, ordinarono a Francesco di prendere le sue cose, farci un involto e seguirli a San Nicola per l’imbarco verso Foggia. Era agli arresti per violenza sui genitori e lesa maestà. Mentre svernava in galera, pare infatti che avesse gridato urbi et orbi: «Cornuto Mussolini!».

I compagni non fecero in tempo a simulare il loro stupore, finto come un culo di bicchiere. I carabinieri gli semplificarono il compito: «Non è tutto», aggiunsero. «Ci risulta che manca un lenzuolo. Un lenzuolo dello Stato. Proprietà pubblica. Chi di voi l’ha perduto o guastato o venduto si faccia avanti. Altrimenti, controlleremo letto per letto».

Che faccia avesse fatto la Leonessa, chissà, perché nessuno ebbe il coraggio di voltarsi a guardarlo.

«Allora?», insistette il carabiniere.

Ci furono altri secondi di niente, ma un poco più rumorosi: fruscii, scricchiolii, colpi di tosse, gorgogli di deglutizione, agitarsi di dita dietro le schiene e dentro le tasche. Alfio si preparò a parlare. Fece appena in tempo ad accennare una vocale, che la Leonessa avanzò di un passo, indicando se stesso come il Cristo del Sacro Cuore.

«Chi ve lo disse…?», proruppe allora Alfio. «Come fate a sapere…?». Ma la sua, più che una domanda, voleva essere una dichiarazione: io non c’entro, non l’ho denunciato!

Difatti, il carabiniere non gli rispose. «Qual è il tuo letto?», chiese alla Leonessa.

Gli fu indicato. Volle andare a controllare.

I compagni trattennero il respiro. Neanche loro erano sicuri dell’esito della perquisizione.

Risultò infine che il lenzuolo mancava davvero.

«L’hai venduto?».

La Leonessa rispose di no.

«Quindi?».

Ci mise un po’ a decidersi. «Lo appizzai».

In siciliano appizzari vuol dire tutto e nulla: ‘perdere’, ‘rovinare’, perfino ‘appendere’. In questa polisemia era forse racchiusa una confessione, la sola scucibile alla Leonessa.

Nessuno seppe mai come andarono veramente le cose. Se la realtà fosse un gioco enigmistico, la linea più breve per congiungere tutti i pallini svelerebbe un disegno più o meno simile a questo: che la Leonessa danneggiò il lenzuolo in un maldestro tentativo di lavaggio, forse per occultare il sangue delle ferite che si procurava, e infine preferì farlo sparire. Tentò poi di sostituirlo con quello rubato ad Alfio, ma fu scoperto. Oppure no: Alfio l’aveva accusato per nulla; il lenzuolo conteso era davvero della Leonessa, immolatosi suo malgrado all’ingiustizia dei questurini.

Ma la logica appartiene alle storie, più che alla Storia; tantomeno alla vita.

«Che vuol dire?», domandò il carabiniere.

«Lo persi».

«Se l’è mica pigliato il vento?».

«Può essere».

«E magari ora ti aspetta a Foggia».

I compagni ci misero più del diretto interessato ad afferrare il messaggio. Quando videro la Leonessa fare il bagaglio, si palleggiarono sguardi increduli. «Dove va?», chiese la Bastarduna.

«A Foggia», disse qualcuno. Ma più che una risposta, sembrava un’altra domanda.

«In carcere».

«E perché?».

Questo era il punto.



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